IL Santo
Patrono S. Antonio Abate
Insigne
padre del monachesimo, nacque circa l'anno 250. Dopo la morte dei genitori
udendo nella liturgia il Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello
che possiedi e dallo ai poveri” (Mt 19, 21); “distribuì i suoi averi ai poveri,
si ritirò nel deserto e lì cominciò la sua vita di penitente. Il suo esempio
ebbe vasta risonanza e fu segnalato a tutta la Chiesa da sant’Atanasio. Ebbe
molti discepoli e molto lavorò per la Chiesa, sostenendo i martiri nella
persecuzione di Diocleziano e aiutando sant'Atanasio nella lotta contro gli
Ariani. Morì nell'anno 356.
Del monaco più
illustre della Chiesa antica, morto ultra centenario (250-356), ci è pervenuto
uno dei più begli esempi di biografia. Ne è autore S.
Atanasio, che di Antonio era amico e zelante discepolo. Il biografo non ha
trascurato alcun particolare che potesse illuminare sulla personalità, le
abitudini, il carattere, le opere e il pensiero del caposcuola del monachesimo.
Nato a Coma nel cuore dell'Egitto, a vent'anni Antonio aveva abbandonato ogni
cosa per seguire alla lettera il consiglio di Gesù: "Se vuoi essere perfetto,
va', vendi ciò che hai...". Si rifugiò dapprima in una plaga deserta e
inospitale tra antiche tombe abbandonate e poi sulle rive del Mar Rosso, dove
condusse per ottant'anni vita di anacoreta.
L'esperienza del "deserto", in senso reale o figurato, è ormai un metodo di vita
ascetica,
fatto di austerità, di sacrificio e di estrema solitudine: S. Antonio, se non
l'iniziatore, ne fu l'esempio più insigne e stimolante. Infatti, pur non avendo
redatto alcuna regola di vita monastica o aver incoraggiato altri a seguirlo nel
deserto, Antonio esercitò un grande influsso dapprima tra i suoi conterranei, e
poi in tutta la Chiesa.
Il richiamo della sua straordinaria avventura spirituale, pur in assenza dei
mass media e delle rapide comunicazioni moderne, si propagò a tal punto che da
tutto l'Oriente monaci, pellegrini, sacerdoti, vescovi, e anche infermi e
bisognosi, accorrevano a lui per ricevere consigli o conforto. Lo stesso
Costantino e i suoi figli si mantennero in contatto con il santo anacoreta. Pur
prediligendo la solitudine e il silenzio, Antonio non si sottrasse ai suoi
obblighi di cristiano impegnato a riversare sugli altri i doni con cui Dio aveva
ricolmato la sua anima: due volte egli lasciò il suo eremitaggio per recarsi ad
Alessandria, sapendo che la sua presenza avrebbe infuso coraggio ai cristiani
perseguitati da Massimino Daia. La seconda volta vi si recò dietro invito di S.
Atanasio, per esortare i cristiani a mantenersi fedeli alla dottrina sancita nel
concilio di Nicea (325).
Non è possibile parlare di questo illuminato "contestatore" senza accennare alle
tentazioni che turbarono la sua solitudine nel deserto e che fornirono a pittori
come Domenico Morelli il pretesto per ritrarlo tra donne procaci: S. Antonio fu
infatti bersaglio di molteplici tentazioni del maligno che gli appariva sotto
sembianze angeliche, umane e bestiali. Questo santo umanissimo, pur nell'austera
immagine dell'anacoreta, è veneratissimo come protettore degli animali
domestici, umile ruolo che lo rende tuttora popolare ed amato.
Dalla «Vita di
sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio vescovo.
Dopo
la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola,
Antonio, all'età di diciotto o vent'anni, si prese cura della casa e della
sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un
giorno, mentre si recava, com'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica,
andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il
Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini,
di cui si parla negli Atti degli Apostoli che, venduti i loro beni, ne portarono
il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri.
Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in
cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e
sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, và,
vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un
tesoro nei cieli» (Mt 19, 21). Allora Antonio, come se il racconto della vita
dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero
state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli
abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia possedeva
infatti trecento campi molto fertili e ameni perché non fossero motivo di
affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì
ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte
per la sorella. Partecipando un'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le
parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6,
34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli
era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli
stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita
ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla
concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non
vuol lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3, 10). Con una parte del denaro guadagnato
comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri. Trascorreva molto
tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare
continuamente (cfr. 1 Ts 5, 17). Era così attento alla lettura, che non gli
sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell'animo ogni cosa al
punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e
gli uomni giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo
chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un
fratello.
Le Reliquie di S.Antonio. Verso
il 561, sotto l’imperatore Giustiniano, fu scoperta la sua sepoltura
grazie ad una rivelazione e le reliquie furono trasportate ad Alessandria
d’Egitto e deposte nella chiesa di S. Giovanni Battista. Nel 635, in
occasione dell’invasione araba in Egitto, i resti mortali di S. Antonio furono
traslati a Costantinopoli da dove un crociato, di ritorno dalla Terra Santa, li
portò in Francia, a Saint-Didier de la Motte (sec. XI). La chiesa costruita per
accoglierli fu consacrata da Callisto II nel 1119 e vicino ad essa sorse un
ospedale condotto dagli Antoniani, che accoglieva numerosi pellegrini che vi si
recavano per invocare il Santo che godeva la fama di guaritore dall’ergotismo
(malattia chiamata ignis sacer o fuoco di S. Antonio). In seguito i resti
di Antonio furono traslate a Saint-Julien presso Arles (1149).
Le varie tradizioni nei secoli
Dal 1700 fino al
1947 la festa del Santo si è arricchita di sempre maggiori tradizioni al fine di
solennizzare e rendere maggiore gloria al S. Patrono. Così a partire dal 1774,
come si legge in alcune minute conservate presso l’archivio parrocchiale, si
hanno le prime comparse delle candelore che prima erano in numero di sei fino ad
arrivare ad un numero di otto: dei primi sei sappiamo il nome delle categorie:
“Consoli, Massari, Religiose, Donne, Mastri e Cavallucci”. Queste candelore
erano costituite da grossi ceri e portati a spalle con delle barrette in legno.
Poi alla fine dell’Ottocento furono sostituite dalle attuali candelore. Questi
ceri accompagnavano processionalmente la statua del Santo illuminandone il
percorso. Oltre ai ceri, i più anziani, si ricordano la “calata dell’angelo”,
che si faceva in Piazza Raimondo Cantarella e ai Quattro Canti. Al passare del
Santo un angelo, che stava sotto un baldacchino, scendeva offrendo delle offerte
in denaro o dei fiori di campo. La vigilia della festa, e cioè il 16 gennaio,
avevano luogo le cantate. Due quartieri, quello di Nardalici e quello dei
Quattro Canti preparavano dei carri allegorici rappresentanti scene della vita
del Santo. I carri venivano tirati fino in piazza e l’entrata avveniva di corsa
al grido “Viva S. Antonio”. Appena il carro sostava in piazza si apriva facendo
apparire il Santo in gloria. Seguivano i fuochi d’artificio e quindi la cantata
che era composta da tre parti: introduzione, preghiera, cabaletta. Ogni
quartiere aveva la sua cantata. Ma le cantate non erano sempre le medesime; ogni
tanto venivano sostituite da nuovi brani. Tra i due quartieri c’era una vera
rivalità e un grosso spirito di emulazione. I più anziani ricordano pure che il
giorno della festa, prima dell’uscita delle candelore, avveniva la corsa dei
cavalli con partenza del palazzo Cardaci fino ad arrivare a Nardalici.
La statua
Ci
piace pensare che, durante l’eruzione del 1404, gli abitanti di Casalotto si
recassero a Lavina per implorare da Dio la grazie per l’intercessione di S.
Antonio, con la statua del Santo Anacoreta. Se così fosse quella statua
risalirebbe al 1400. ma, poiché non abbiamo in nostro possesso nessun documento,
dobbiamo accettare come data indicativa quella che autorizza gli abitanti di
Casalotto di poter portare in processione per le strade della contrada la statua
del Santo e, cioè, il 1563. non conosciamo pertanto né l’anno esatto della
fabbrica della statua né l’artista che la modellò. Il materiale usato per la
realizzazione della statua è in resina mista a cenci. Il volto e le mani sono
scolpite in legno. Originariamente la statua doveva essere composta dalla sola
immagine del Santo senza gli angeli che lo attorniavano. Il Santo anacoreta ci
si presenta vestito dal camice bianco con un grosso stolone che lo attraversa
per tutta l’altezza e dal piviale; la mano destra è alzata nell’atto di benedire
mentre, con la mano sinistra, avrebbe dovuto reggere il libro dei Vangeli.
L’aggiunta della seconda base ha arricchito la statua di due angeli, della
presenza in miniatura di S. Macario, rivestito dagli abiti liturgici, che regge
in mano il libro delle benedizioni. Scompaiono dalla mano sinistra del Santo il
libro dei vangeli e dalle mani di S. Macario il libro delle benedizioni.
Attualmente la statua del S. Macario regge gli ori votivi. L’originaria base del
Santo reca, per i quattro riquadri, scene allegoriche tratte dal mondo della
mitologia. La statua così costituita è chiusa in una cappella e viene svelata
ogni anno per la festa del Santo.
L'origine della Candelore
L’origine
delle candelore si perde nella notte dei tempi e, a dire del Lanzafame, è di
origine pagana. Infatti le matrone romane nel mese di febbraio per propiziarsi
il favore della del della fertilità, offrivano ceri votivi. L’avvento del
cristianesimo, non potendo cancellare una così radicata tradizione pagana, l’ha
voluta ridefinire vedendo nel cero acceso la luce del Cristo che, disperdendo le
tenebre del peccato, restituisce agli uomini la luce della Grazie. Questa
tradizione, sotto il pontificato di Papa Gelasio I, fu riproposta nella festa
della purificazione della Madonna. Di fatti anche oggi si suole dire la festa
della candelora, e in quel giorno i cristiani accendevano ceri votivi
inneggianti a Cristo, luce del mondo. Ma la spontaneità popolare ha voluto
arricchire e decorare il proprio cero come segno distintivo della propria fede e
devozione e da questa iniziativa, nacque l’usanza di decorare ed arricchire il
cero votivo nella festa della candelora. Nel 1600, a Catania, troviamo questi
ceri riccamente ornati detti candelore o gigli offerti alla Vergine Agata. La
tradizione vuole che questi ceri fatti dalla cera delle api, fossero
particolarmente pesanti e riccamente ornati a tal punto da richiedere più
portatori. Fu il Settecento il secolo in cui questi ceri ornati furono muniti di
struttura in legno. Questa usanza catanese di devozione si diffuse rapida nei
paesi etnei; infatti anche i santantonesi offrirono al loro patrono dapprima sei
ceri i poi otto come ci riferisce la misura minuta del 1774. Solo alla fine del
secolo e all’inizio di questo le otto torce di cera d’api dipinte e sostenuto in
una struttura in legno furono sostituite in vere e proprie opere d’arti in legno
scolpito e dorato che portano, nella parte terminale, il chiaro segno della
torcia in cera che viene attualmente nascosta da una corona in legno dorato
riccamente colorata.
Cereo degli agricoltori della
piana di Catania dal 1971 cereo degli impiegati
Il cereo
degli agricoltori della piana di Catania è l’ultimo dei quattro cerei offerti a
S. Antonio. Questo cereo fu voluto nel 1945 dall’allora giovane Gaetano
Andreano, fu scolpito dal concittadino Salvatore Murabito, che ne aveva eseguito
i disegni collaborato dallo scultore catanese Piccione. Le opere di falegnameria
furono eseguite dal Sig. Mario Pappalardo. La candelora fu montata nelle sue
parti in legno nella chiesa dei mercenari e poi portata a spalla la sera del 16
gennaio del 1947. Di questa candelora possediamo l’atto costitutivo della
concessone e la minuta descrizione della candelora che qui di seguito riportiamo
dall’originale:
“L’anno
millenoventoquarantasei il giorno dieci febbraio in Aci S. Antonio nella casa
parrocchiale. Tra i sottoscritti Andranno Gaetano di Antonio e Pappalardo, Mario
da Aci. S. Antonio mercé la presente da avere pieno effetto legale si conviene
quanto segue: premesso che gli Agricoltori di Aci S. Antonio lavoranti alla
piana rappresentati dal comitato composto dai sigg.:
1°) Rev.
Parroco Sa. Pasqualino Lanzafame;
2°) Andranno
Gaetano di Antonio;
3°) Tosto
Giuseppe fu Alfio;
4°)
Chiarenza Vincenzo di Salvatore;
5°) Ferrara
Antonio fu Vincenzo;
6°)
Barbagallo Salvatore fu Gaetano,
hanno
indetto l’asta per l’appalto, costruzione del “CEREO”, della loro categoria in
onore del Patrono S. Antonio Abate s’è conclusa con l’aggiudicazione definitiva
al Sig. Pappalardo Mario fu Rosario quale minore offerente in £. 188.000
(centottantotto mila lire) si definisce:
1°) Il Sig.
Andranno Gaetano di Antonio in rappresentanza degli agricoltori della piana,
concede al Sig. Pappalardo Mario fu Rosario la costruzione del cereo appresso
descritto e il Pappalardo dichiara di accettare le condizioni che seguono con
impegno di assoluta osservanza.
2°) Inizio
del lavoro entro il corrente mese. Il cereo sarà lungo m. 4 alla corona; largo
alla base m 1,45.
Sagome,
disegno e tutto come da bozzetto a grandezza naturale redatto dallo scultore
Sig. Murabito Salvatore. Stile “Roccocò” orizzontale e verticale. Legno tiglio o
noce di Napoli evaporata. Stagionato. Il cereo sarà costruito d’una sola qualità
di legno sia all’interno come all’esterno. I quadri della vita del Santo saranno
suggeriti dal Comitato. Gli ovali alla base saranno pure suggeriti dal Comitato.
Sarà completo d’un torcione in legno delle stesse dimensioni di cui a quello dei
Contadini con meccanismo per innalzarlo o abbassarlo. Sarà pure fornito di due
spranghe di legno faggio, come gli altri Cerei esistenti in Parrocchia. Tali
spranghe si introdurranno in buchi rinforzati da graffe di ferro partenti fisse
alla base. Scultura fine lavorazione accurata tale da costituire una armoniosa e
ottima opera l’arte. Illuminazione a carico del Comitato, però il costruttore e
tenuto a eseguire i lavori in modo da facilitarne l’impianto e nascondere i fili
conduttori. Gli angeli dovranno avere una espressione mistica, visi belli e ove
occorra un panneggio.
Il posto
dell’accumulatore elettrico sarà al centro dei quadri in cassetta fornita dal
costruttore e fissa. Uno dei quadri dovrà aprire e chiudere ermeticamente per il
collocamento dell’accumulatore. Tutto costruito a regola d’arte con rinforzi in
ferro come il cereo dei Contadini, e in modo da resistere bene alle scosse dei
portantini. Consegna a semplice lavoro rifinito a carta vetrata, montato, in Aci
S. Antonio entro il mese di ottobre corrente anno il locale che designerà il
Sig. Andranno Gaetano.
I pagamenti
dell’importo spesa in lire CENTO OTTANTA MILA saranno eseguiti al Sig. Andreano
Gaetano al costruttore Pappalardo Mario come segue: Un questo cioè £. 47.000
all’ultimazione del primo tronco o base cioè quando il lavoro avrà raggiunto i
m. 1,25 di altezza; Un quarto all’ultimazione del terzo tronco e l’ultimo quarto
e il deposito alla consegna completa del cereo montato in Aci S. Antonio.
Il Sig.
Andreano riserva per sé e per il Comitato il diritto assoluto di sorvegliare o
fare sorvegliare i lavori che dovranno eseguirsi in Aci S. Antonio, di accertare
o fare accertare la qualità del legname, la bontà, solidità e qualità del lavoro
a mezzo anche di persone di propria fiducia e se a giudizio di persona di
propria fiducia e se a giudizio di persona tecnica i lavori, il disegno, le
sagome, la scultura, i putti e ogni cosa non corrisponderanno alle condizioni
qui espresse e al disegno depositato il Comitato dichiara sin da ora come non
concluso alcun contratto con l’appellatore e non sarà tenuto a corrispondere
alcuna somma per il lavoro iniziato né a restituire il deposito rimanendo libero
di scegliere altro costruttore. Si dà atto che gli angeli sono venti oltre
quattro teste sotto i quadri.
Per quanto qui
non espresso s’intende che il Cereo dovrà essere costruito solido, resistente e
con tutti i rinforzi in ferro come quello dei Contadini di Aci S. Antonio.”
Cereo dei carrettieri
Ci è difficile
ricostruire con puntualità la storia del cereo dei carrettieri per mancanza di
documenti. Oggi la candelora viene denominata dei carrettieri o commercianti,
dato che il carretto ha ceduto il posto ai mezzi moderni di trasporto. Questo
cereo è il più alto dei quattro e nella sua struttura conserva quella vivacità
di colori e di movenze tipiche del carretto. La candelora ultimamente e stata
arricchita da quattro angioletti che sono stati posti sopra i riquadri che
narrano la vita del Santo. La candelora conta ben dodici angioletti e quattro
cherubini. I quattro angeli che stanno vicino ai riquadri recano nelle mani le
insegne episcopali: mitria, pastorale, il,libro ed il fuoco. Questo cereo, a
dire degli anziani, fu progettato, scolpito, montato e dipinto ad Acireale.
Promotore della costruzione è stato Don Ignazio Spina, mentre Sebastiano Lo
Vecchio fu lo scultore Acese a cui furono affidati i lavori.
Cereo dei contadini
Il più antico e
monumentale per la sua forma è il cereo dei contadini detto anche “u tronu”. La
sua struttura e la rifinitura nella scultura la fa eccellere tra i quattro cerei
votivi. È alta quattro metri circa e pesa, a dire dei più anziani, tra i
novecento e i mille chili. Non abbiamo potuto sfatare questo mito per mancanza
di mezzi idonei. Interessante in questo cereo, oltre alle sculture dell’ornato,
sono gli otto angioletti che la ornano di pregevole fattura; infatti nelle loro
movenze richiamano schemi di scultura classica; particolarmente originali sono i
quattro riquadri in quanto presentano i fondali in pittura, avendo in primo
piano le sculture a tutto volume dei personaggi che narrano la vita del S.
Anacoreta. La candelora fu costruita nel 1896, come ci informa la targhetta
posta nella parte superiore dei riquadri. Lo scultore fu un catanese, Don
Alessio, che nella sua bottega eseguì le diverse sculture che furono poi montate
qui, ad Aci S. Antonio, nel collegio di Maria SS. Della Provvidenza. Questa
monumentale opera fu realizzata grazie ai tesorieri: Di Giovanni Salvatore (u
Pintu), Torrisi Mario, Vincenzo Casentino, Sebastiano Finocchiaro, Antonio
Finocchiaro.
Cereo dei mastri o artigiani
Questo cereo,
poiché presenta una diversa fattura tra la parte inferiore e quella superiore,
ha spinto alcuni tra i più legati al cereo ad asserire che questo è il più
antico dei quattro e mostrano come prova che è l’ultimo nell’ordine quando
questi vengono portati in chiesa. Noi non abbiamo alcun documento che ci attesti
l’antichità della candelora e ci rifacciamo alla data posta in una delle
tavolette che reggono gli angeli: 1911. Dei quattro cerei è il più minuto tanto
da meritare l’appellativo “Signorina”. Sedici angioletti ornano la candelora se
si escludono i quattro cherubini che stanno nella parte bassa dei riquadri e i
quattro angeli che reggono la parte superiore della candelora. Come dicevamo
sopra, questa candelora è stata scolpita da più scultori: la parte inferiore è
stata eseguita a Catania dal prof. Caviglieri, mentre la parte superiore fu
scolpita nella bottega di falegnameria al largo Cantarella dal Sig. Giuseppe
Ferrara (Tirichica). Non si conoscono i nomi dei diversi scultori che hanno
portato a termine il lavoro. I quattro riquadri narranti scene della vita del
santo, furono sostituiti con nuovi pannelli scolpita da Alfio Nicolosi. Questi
nuovi pannelli riproducono le medesime scene delle vecchie.
A vara
Il
Settecento è il periodo della ricostruzione dopo la catastrofe avvenuta con il
terremoto del 1693. E’ il secolo d’oro per il nostro paese; infatti sono di
questo periodo le più belle opere di architettura, scultura e pittura che ci
sono nel nostro comune. Espressione di questa vitalità è senza dubbio
l’artistico percolo che accoglie la monumentale e vetusta statua del Santo
Patrono. Il legname per la costruzione del percolo fu acquistato da un certo
Giovanni Cutroni e compagni da Messina anno 1709 e otto anni più tardi venne
completato con la costruzione del baiardo e rifiniture nelle parti inferiori.
L’artistico percolo presenta sei colonne corinzie che reggono con le sei arcate
uno stupendo cupolone riccamente ornato. Le arcate sono arricchite da cinque
lampade in argento sbalzato. Nel 1957 il fercolo fu restaurato e venne
arricchito da sei angioletti seduti che recano le insegne episcopali: Mitrie,
Pastorale, il libro dei vangeli, il Tau il fuoco e lo stemma cittadino. Qui di
seguito riportiamo la lettera che il comitato organizzatore distribuì ai fedeli
per la raccolta dei fondi per il restauro.
Promotore di
tale iniziativa fu Salvatore Ilardi, Sindaco del comune.
“Carissimi
concittadini La bara Bara del
glorioso nostro Patrono S. Antonio Abate, costruita nell’anno 1710 dai nostri
antenati ha urgente bisogno di essere riparata e indorata. È stato questo il
pensiero e il desiderio di tutti e speriamo che esso diventi realtà. Dove
prendere il denaro sufficiente? Il Comitato attuerà varie iniziative e ha
pensato anzitutto di chiedere un contributo a tutti i concittadini. Questa
lettera circolare è stata mandata a tutte le famiglie e si vuole sperare che la
vostra fede nel nostro glorioso Patrono e il nostro amore verso la nostra città,
accoglierà con simpatia e generosità la nostra iniziativa e ci metterà in
condizione di allestire per il nostro S. Antonio una Bara degna delle nostre
secolari Tradizioni.”
'U Coppu
E’ un
contenitore in argento sbalzato che reca l’immagine del santo anacoreta e, nella
parte posteriore, si legge la data 1837. ‘U coppu veniva affidato, come accade
ancora oggi, ad un membro della commissione per la raccolta delle offerte nei
giorni di domenica o di festa; quando la piazza si popolava di gente. Le offerte
raccolte servivano per solennizzare la festa del Santo Patrono, mentre le varie
categorie si adoperavano con autotassazione per abbellire il loro cero e per lo
sparo sei fuochi di artificio. Difficile è quantificare quanto generalmente si
spende per la festa del Santo, perché le varie categorie dei ceri mantengono il
riserbo sulle spese sostenute per gli spari dei fuochi di artificio. A festa
ultimata la missione uscente porta “ ‘U coppu ” alla casa del nuovo cassiere
accompagnato dalla banda cittadina. Per un Santantonesi è un onore e un onere a
volte gravoso essere cassiere di una manifestazione di così largo respiro,
questi deve fungere da perno coordinatore tra le varie categorie e la
commissione centrale.
Le cantate
Era uso antico onorare l’uscita delle reliquie della
Martire Agata, salutandole con un inno che ne esaltasse le virtù ed il coraggio
che l’ha aiutata ad affrontare il martirio e proclamare così la sua fede in Gesù
Cristo. Ben presto questa usanza si diffuse, nell’ottocento, nei vari paesi
etnei. Anche i santantonesi hanno voluto salutare l’ingresso nella Chiesa Madre
delle reliquie del Santo Patrono, che venivano portate dalla Chiesa di S. Biagio
alla Chiesa Madre. Per quell’occasione si costituirono commissioni nei diversi
quartieri dando incarico agli esperti di scrivere testi e musiche. Le cantate a
dire degli anziani, erano molte ed i quartieri impegnati erano quattro, ma a noi
sono pervenuti i testi di due quartieri con i relativi spartiti. Vi presentiamo
i testi relativi ai due quartieri: di Nardalici e dei Quattro Canti.
Inno a S. Antonio
Introduzione
Di lodi e cantici di festa e brio esulta o popolo in questo di.
Prostrato all’ara del divo eccelso onori e laudi sciogli al suo piè.
A lui che in Tebe d’aspri digiuni ci diede esempio d’alte virtù
Preghiera
Si fu lui che dal morbo
ferale Egli accolto nel luogo degli alti colla prece, rivolta al Signore
sfulgoreggia di santo candore discacciò e disperse lo strale e prostrato
dinnanzi al Signore e la patria tremente salvò chiede pace all’affitto mortal.
Finale
Devota patria mostra
l’affetto la gratitudine che serbi in cor in onta agli uomini di poco zelo si
acclami antonio nostro patron. In onta all’empio in onta al fluisciedente si
onori Antonio il protettor.
Inno a S. Antonio
Introduzione
Brilla la terra e
sorge soave di festivo sacrato al nostro
divo al Grande
Protettore.
Tu dell’eterno
amore dolci gentili,
gentili senti i nostri cari
accenti offerti con
fervore.
Preghiera
Tergi gli affitti
cigli di questo triste
suol immerso nei perigli nei tristi affanni
e duol.
Quando la terra
orribile tremo portando
morte levammo
indescrivibile un grido tetro e
forte.
Stendi ognor la
mano Sul fiero
Mongibello terribile vulcano del nostro
paesello.
Le nostre preci
ardite per l’alte sfero
andaro nn’eco in te
trovaro o grande difensor.
Finale
O eccelso, eccelso
Antonio oggi il popolo tuo
festeggia ed una lode inneggia al grande protettor.
Brama la Croce la Croce stringer al seno ogni fedele per lei pugnare e
cinger
d’ona
ghirlanda in cielo.
Preghiera a
Sant'Antonio Abate
ASCOLTA LA
PREGHIERA

Genuflessi ai vostri piedi, o nobilissimo
esempio di austera penitenza glorioso
Antonio Abate, nostro avvocato e protettore,
umilmente vi preghiamo a non mai
abbandonarci nelle prove del mondo, nelle
lusinghe della carne e nelle insidie del
demonio: metteteci sotto il valevole vostro
patrocinio quali figli vostri, otteneteci da Dio
i beni spirituali e temporali; liberateci dalla
peste, fame, guerra, terremoti e dal fuoco;
fate che si mantenga sempre fra noi salda ed
intemerata la santa Fede cattolica,
congiunta
all'amore più vivo ed all'ubbidienza più
sincera alla Chiesa ed al suo Capo visibile il
Romano Pontefice; ottenete all'una ed
all'altro l'esaltazione ed il trionfo su tutti i
loro nemici nonché la pace fra i principi e
popoli della terra. Impetrate a noi il perdono
dei peccati e la benedizione delle anime
nostre, acciocché benedette possano per
sempre produrre odorosi fiori e squisiti frutti
di virtù e perfezione. Accettate i nostri umili
voti che vi tributiamo, mentre da voi tutto
speriamo ottenere, o Atleta del Signore,
Antonio Abate, per così dopo di avervi
venerato ed imitato qui in terra, vi possiamo
godere felici e beati coi Santi in Cielo.
Grande Antonio, cui tributa
dolce omaggio il nostro affetto,
Dhe! ci salvi, perché eletto
Tu ne fosti il protettor.
|